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      Noi non tremavamo neppure più: eravamo agghiadati, irrigiditi. Metek, egli stesso, pigiava il suolo, e faceva scambietti per darsi un po' di caldo. Seppellita sotto una montagna di pellicce, Cesara sembrava un pezzo di ghiaccio. Questa terribile calcitrata del verno durò ventisei ore. Infine si calmò alquanto. Le nostre renne, che accollate l'una all'altra, accovacciate vicino alla slitta, non avevano osato andare in busca di una bocconata di crittogama sotto la neve, si allontanarono. Noi spiegammo la tenda, ed accendemmo un immenso braciere. Il thè caldo, qualche pezzo di cacciagione restatoci, un po' di pemmican sciolto nell'acqua bollente, che ci diede immediatamente un brodo squisito, ci rifocillarono e richiamarono a vita.
      Non ostante, e' non occorreva pensare a partire per quel dì. La gola della valle, quantunque assai larga, era ostruita dalla neve accumulata e profondamente agitata ancora. Le nostre renne restarono assenti per più lungo tempo del consueto. Io cominciava perfino ad esserne inquieto, perchè udivamo l'urlo dei lupi risvegliar tutti gli echi delle boscaglie vicine. Ora, quale non fu la nostra sorpresa, quando, udendo un po' di rumore presso la tenda, misi fuori la testa, ed in luogo di tre, vidi cinque renne! Tutto indicava che desse avevano già servito, e che, per una ragione o per un'altra, avevano disertato l'antico padrone. Metek non perdette un istante. Uscì dalla tenda, e mise una sbarra ai nuovi ospiti onde non si allontanassero di nuovo. Infatti, quando partimmo all'indomani, noi li aggiogammo tutti al nostro veicolo.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





Cesara