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      L'orso fece qualche passo, saggiò il peso che aveva a tirare - non gravissimo per lui - si rese conto del suo destino, e fermossi. Per buona ventura, e' non pensò a rivoltarsi. Io lo teneva, del resto, sotto la mira del mio fucile. Fu questa vista che lo decise? Non so. Il fatto sta che dietro un novello invito di Metek, più urgente, più determinato - lo punse colla punta del suo coltello - l'orso si rimise in cammino.
      Esso andò dapprima con un passo maestoso, come un giudice o un vescovo; poi perdè la pazienza, forse in vista di liberarsi del suo fardello, e cominciò a correre. Noi salivamo una vallata fra due montagne. L'ascensione era ardua; ma la neve indurita ci sosteneva bene, ed addolciva le difficoltà del passo. Però, blocchi immensi di piperno ci ostruivano talvolta la via. L'orso, fremente di collera concentrata, dava colla testa in giù contro questi ostacoli, e si precipitava negli anditi che gli s'aprivano dinanzi. Eravamo scossi terribilmente.
      - L'andrà, l'andrà, disse Metek, e si mise a cantare.
      La stanchezza, piuttosto che il canto, moderò l'ardore del nostro salvatore. Esso regolò il suo andare ad una specie di galoppo, che un vincitore di Derby non avrebbe disdegnato. Temevamo di vedere ad ogni istante il nostro veicolo andare in pezzi. Il pericolo aumentò, alla discesa nella valle che separa il corso delle acque dell'Indighirka da quello della Kolima. Lambivamo i precipizi, ove l'orso voleva slanciarsi di partito preso. Metek lo tratteneva con mano di ferro, ed il collare, stendendosi, lo strangolava.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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