Ci sentimmo sollevati da terra ed atterrati: uomini, slitta, orso, tutti fummo capovolti. Se i pattini della slitta non si fossero appiccati a qualche arbusto di cedro nano, noi eravamo gittati nei precipizi, o disparivamo in una tromba verso le nuvole.
Corremmo immediatamente a rialzare l'orso, che era lì per fracassar tutto ed accelerare il nostro capitombolo nei burroni. La correggia del suo collare erasi svolta: esso saltò in piedi, e noi potemmo raddrizzare meglio la slitta coricata sulla neve. Lavoravamo con una mano, avvinghiandosi coll'altra agli sterpi, oscillanti essi stessi sotto la bufera.
Fu mestieri torcer cammino e cercar un ricovero nella macchia, dietro i macigni. L'uragano durò ventiquattr'ore. Il freddo, malgrado il fuoco enorme che avevamo acceso, ci penetrava, e c'impediva di uscir fuori della tenda. E noi avevamo a nutrir l'orso! La carne dell'alce e della renna era terminata. La nostra provvigione di biscotto toccava la fine. Il pesce e(32) la carne secca, il pemmican erano una risorsa troppo preziosa per destinarli ad alimentar l'orso, che divorava due o tre chilogrammi di carne per pasto e brontolava, non trovando la sua parte sufficiente. Bisognava vederlo, assiso alla porta della nostra tenda, allungare la sua terribile zampa al fuoco e dimandare che vi mettessimo qualche cosa. Egli mangiava ora di tutto, beveva persino il thè e l'acquavite. Era ghiottissimo soprattutto del brodo del pemmican.... Metek si arrischiò ad uscire, conducendo seco l'orso, che lo seguì con molta mala grazia.
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