Poco dopo, avevamo, per così dire, troppo caldo.
Viaggiammo in questa guisa tre giorni, e facemmo circa venti verste. Al quarto giorno, Cesara cadde ai miei piedi, e sclamò:
- Uccidimi, e salvatevi. Io non posso andare più oltre.
Mi sentii annientato. Mi lasciai piombar sulla neve, e gridai alla mia volta:
- Ebbene, figliuola, moriamo insieme.
Metek ci guardò senza proferir sillaba, e si assise accosto a noi. Il silenzio, l'inerzia disperata durò quindici minuti: quindici secoli! a traverso i quali l'anima valicò abissi di dolore senza nome, terrori frenetici. Infine Metek si levò, e disse:
- Padrone, ecco il mio pensiero. Ritorneremo là donde movemmo tre giorni sono. Rizzeremo la tenda, e la guarentiremo di una bella difesa. Il fuoco non mancherà. Di provvisioni ve n'è ancora abbastanza. La cacciagione è rara, ma non manca del tutto. Voi resterete là, e mi aspetterete. Io andrò solo a Verknè-Kolimsk, e vi condurrò una narta e dei cani. Mi occorrono per andare e tornare quindici giorni al più. Troverò in quel villaggio il delegato dell'ispravnik - il commissario del distretto di Kolimsk dimora a 350 verste più al nord, a Srednè-Kolimsk - ovvero il capo del vecchio ostrog, che resta ancora in piedi, ovvero l'esaule, l'uomo di confidenza della tappa di Verknè. Io m'indirizzerò loro. In nome di chi debbo loro domandare soccorso e protezione?
In nome di chi? Ecco dunque l'uomo, chiamato ad intervenire a sua volta per complicare il disastro del destino! Io riflettei un istante, poi dissi a Metek:
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Cesara Metek Verknè-Kolimsk Kolimsk Srednè-Kolimsk Verknè Metek
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