Ciò durò quattro giorni. La sera del quinto dì, ci eravamo già ritirati nella nostra casa, attorno al sciuuvale fiammeggiante, il focolaio, quando udimmo un rumore alla nostra porta.
Hurrà! era Metek, che arrivava con due narte, di cui una tirata da ventiquattro cani, l'altra da dodici. Ma quale non fu la mia sorpresa, quando vidi discendere da quei veicoli due Cosacchi!
Ecco di che trattavasi.
Metek non aveva potuto compiere la sua commissione senza attirare la curiosità dell'esaule, il capo della truppa di Verknè-Kolimsk, il quale faceva le funzioni di delegato di Srednè-Kolimsk. Era stato mestieri allora dire il mio nome al rappresentante dello Czar. La strada straordinaria che percorrevamo, il racconto un po' gascon che Metek fece forse delle nostre avventure - i Russi sono essenzialmente esageratori - parvero sospetti all'esaule. E' non volle permettere il reclutamento dei cani e la compera delle provvisioni, ma somministrò una narta per condurci a Verknè, e mandò due dei suoi cinque Cosacchi per far eseguire l'ordine, promettendo, del resto, di occuparsi egli stesso dei nostri apparecchi.
Se Metek avesse portato di che nudrire la nostra muta di ventiquattro cani per due mesi, egli è certo che mi sarei sbarazzato dei due Cosacchi in un modo o in un altro, ed avrei continuato il mio viaggio. Ma, senza scorta, noi non potevamo marciare che un giorno e poi restare seppelliti nelle tundras. E le zanzare ci avrebbero succhiati vivi l'estate. Bisognò dunque fare buon viso, avvegnacchè il cuore battesse con violenza.
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