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      Avremmo noi questa cattiva sorte, traversando steppe inesplorate e inospitali? Parlavamo di ciò con Cesara, quando un giorno, verso il mezzodì, entrando in una gola di colline, la nostra guida, che conduceva la narta, fece osservare a Metek delle tracce di racchette da neve, che mostravano la loro riga cristallizzata sulla neve della notte precedente.
      - Tenete le armi in ordine, mi disse Metek, sporgendo la testa nella slitta; ci va dinanzi un selvaggiume, che potria essere pericoloso.
      - Che selvaggiume?
      - Ma, che so io! I Tsciuktscias forse, i Kosiaki, peggio ancora, i vors scappati da Okhotsk o da Ayan.... qui non si è sicuri di nulla.
      Malgrado l'allarme, viaggiammo il giorno intero senza accidenti, trovando sempre però le orme dei pattini da neve dei viaggiatori che avevan passato per la contrada.
      Eravamo nel febbraio 1866. Il tempo era orribile: il vento e la neve ci davano battaglia. Non avevamo potuto percorrere più di cinquanta verste. Uomini e bestie cadevano di spossamento. Il conduttore della narta aveva scôrto un sito sotto una sporgenza di roccia, ai limiti di una steppa di spine, di parecchie decine di verste, cui avevamo a traversare, ed erasi vôlto a Metek per dimandargli se non gli sembrasse conveniente di accampar quivi la notte. Di un tratto, udimmo un sibilo seguito da un grido. Il sibilo era prodotto da una freccia: il grido partiva dalla nostra guida, che sclamava:
      - Sono morto!
      La spiegazione di questo avvenimento non si fece attendere. Di dietro i macigni, vicino alle steppe, sbucarono come un turbinio dodici uomini vestiti di pelle di renne, che si precipitarono sopra di noi.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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