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      E Metek avanzava sempre: il mio cuore batteva. Metek accelerava il suo approccio, infine il mio cuore saltò di speranza. Metek arrivava a portata di lanciare il laccio e si rizzava infatti dietro una macchia, quando una freccia fendè l'aria con un sibilo lamentevole, ed andò a conficcarsi nel cuore della renna-capo. Essa gettò un bramíto lacerante e cadde. Il piccolo branco fuggì come uno stuolo di uccelli spaventati. Immediatamente, di dietro un'altra macchia si mostrò un Jukaghir, che aveva abbattuto il selvaggiume. Ei s'incontrò faccia a faccia con Metek.
      Il Jukaghir rassomiglia un po' al Russo: capelli ed occhi quasi neri, viso lungo abbastanza regolare, una bianchezza straordinaria di pelle, ben fatto, di statura media. Poi, gaio, ospitale, suonando quasi tutti il violino o la balalayka, o mandolino.
      Io sopraggiunsi. Il povero cacciatore non sospettava neppure il male immenso che ci aveva fatto. Metek glielo spiegò. Il Jukaghir gettò un grido di gioia, e c'informò che a 50 verste più lontano, all'est, quasi sulla riva del fiume, si trovava una yurta di Tsciuktscias, abitata da una famiglia che possedeva delle renne domestiche. Il Jukaghir ci cedè la metà della sua preda, ciò che noi non eravamo in grado di rifiutare, e si allontanò. I nostri cani furono nudriti, e noi facemmo un eccellente desinare colla lingua della renna.
      Partimmo all'indomani alla ricerca della yurta. Ell'era, del resto, sulla nostra via.
      Arrivati la sera al sito, ove la yurta provvidenziale doveva essere - Metek aveva presi dei ragguagli precisi - , ci fermammo.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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