Percorrendo il tundras, alle sponde del lago Yukney, Metek aveva trovato una sayba - o cassa di ghiaccio innalzata su due pilastri di pietre - contenente uno di quei depositi di pesce, di carne di renna o di orso e talvolta anche delle pelli, che si trovano soventi nella Siberia abitata da orde nomade. Si mette un segno a questi depositi onde possano essere utili ad altri viaggiatori. I nostri cani ne ebbero sollazzo e noi pure. Perocchè noi non eravamo certo ghiotti della carne di morsa, di orso bianco, o della pelle di balena di cui si regalano gli indigeni....
Arrivammo così, bene o male, al mese di maggio.
La miseria degl'indigeni della Siberia, ho potuto constatarlo, è occasionata in grande parte dal rigore feroce del clima. Ma l'imprevidenza, l'inesperienza, lo spirito di fatalismo, l'incapacità dell'uomo, vi contribuiscono largamente. "Non si evita ciò che deve essere"! ecco il motto ordinario che riassume tutta la scienza, tutta la fede del Siberiano. Metek erasi spigliato e dirozzato. Accoppiando quindi alla sua forza ed alla sua costituzione di bronzo di Yakuto, l'agilità, la volontà, l'energia, l'ingegnosità europea, ei faceva miracoli.
Il mare è tutto per lo Tsciuktscias: prato, campo, foresta, fiume; egli vi pesca di che riscaldarsi, mangiare, vestirsi. Noi guardavamo, al contrario, la terra, per quanto lugubre la potesse essere, e le strappavamo di che vivere. La caccia dell'argali, della renna, dell'orso, ci arrise. Le androsacee, le genziane, le sassifrage, le achillee millefolium, spuntavano di già. Di già si intravedeva il grazioso cornillet dai fiori rossi, delicatamente adagiato sur un cuscino di muschio verde.
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