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      Nella mia qualità di dilettante, mi avevano attaccato allo stato maggiore. Io portava una sciabola formidabile, due pistole, un pugnale, che mi serviva a trinciare le mie costolette, una casacca di velluto nero, un cappello all'Ernani con galloni d'oro, e brache di fantasia. Che cosa non avrei io dato per avere una sciarpa rossa intorno alla mia vita sottile! Avrei avuto l'aria più da trovatore. Io aveva al mio servizio, in qualità di ordinanza, un Siciliano che si vantava di essere stato pasticciere, ma che era, in realtà, un perfetto predatore, uno snidatore di ogni specie di selvaggina. Avevo inoltre, come domestici, due Albanesi, alti cinque piedi e dieci pollici, di cui comprendevo appena qualche parola. Erano stati briganti nella banda di Talarico, è vero, ma sapevano cuocere in punto una braciuola, imbiancare e stirare la biancheria sì da invogliare una duchessa a confidar loro i suoi merletti. Sono i soli famigliari fedeli ch'io mi abbia mai avuto in mia vita.
      Io aveva vissuto quindici giorni in questa gradevole posizione, non udendo altri colpi di fucile, che quelli tirati contro le lepri, e non vedendo altri nemici che le vipere. Noi eravamo, noi altri capi, tutti fraternamente riuniti in un fortino costruito dai briganti, in cima ad un rialzo, - un ridotto druidico, - circondato di pietre ciclopiche.
      Su questo recinto si era intessuto un pergolato di rami e di foglie per ripararci dal sole di luglio. Le nostre coperte, i nostri mantelli, stesi sul suolo, ci servivano di tappeto, di tovaglia, di tovagliolo, di materasso.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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