.... Io mi sentiva trasportato. L'uomo politico era di già restato al Parlamento, dopo il guazzabuglio del 15 maggio; l'insorto era restato nel fortino di Campotenese; qui, io mi trovava poeta.
Il mio cavallo calabrese aveva della capra: esso scivolava come un pattinatore, si arrampicava come un gatto; si faceva piccolo, si raggroppava, si allungava, passava dovunque. I suoi garretti di acciaio si tenevan fermi sopra un viottolo stretto come un filo di refe, sul labbro di un burrone, a cinquecento piedi di altezza. Era davvero un cavallo fazioso, avvegnacchè uscisse dalla scuderia di un vescovo.
Ma per bella che fosse la natura, per palpitante che fosse la situazione, ad una certa ora l'appetito si risvegliò.
- Ehi! Spiridione, sai tu, mio bravo ragazzo, che io ho fame?
- Ed io dunque, capitano?
- Diavolo, amico mio, perchè non l'hai tu detto più presto?
- Non si confessa di aver fame, quando il padrone non ne ha punto.
- Ma, figliuolo mio, il padrone divorerebbe in questo momento il cuoio del tuo zaino, e più volentieri ancora una costa di montone.
- Scherzi a parte, se vi piace, capitano! Il mio zaino ha avuto l'onore di figurare sulle spalle di Talarico, ed io non lo darei per il pastorale del vescovo di Cosenza.
- Io non ne voglio davvero del tuo zaino, amico mio. Ma qualche cosa che rassomigliasse ad un pollo arrosto o ad una braciuola, eh! Se uccidessimo Demetrio, che da due giorni non schiude labbro? Che ne dici tu, Spiridione?
Demetrio mi guardò con due occhi che mi tolsero la voglia della celia per due giorni.
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