Il governo provvisorio di Cosenza mi avrebbe nominato papa, se lo avessi dimandato, onde sbarazzarsi della mia persona. Io non dimandai che un grado, senza soldo nè funzione, per aver l'occasione di osservar le cose da vicino, con mio comodo. I pescatori di Scalea mi avevan preso nientemeno che per il comandante in capo della insurrezione, per un generale, un maresciallo forse. Essendosi poscia recati nel piazzale della chiesa, di dove la domenica, nelle belle giornate, il popolo dell'Italia meridionale vede celebrare la messa, questi pescatori avevano comunicata la notizia al popolaccio del borgo. La novella della nostra disfatta vi era già capitata da due giorni. La medesima gente, la settimana precedente, aveva coraggiosamente fucilato il busto in gesso di re Ferdinando sulla piazza pubblica - quel busto augusto che presiedeva alle udienze del giudice di pace ed ispirava le sentenze di questo magistrato.
Nel medesimo tempo si era visto passare la mia valigia.
- La è zeppa di oro! si avvisò di dire un uomo di spirito, il barbiere del villaggio.
- Davvero? gridarono tutti, cogli occhi lucenti.
- Zeppa, zeppa. Il generale va ad attizzare la rivoluzione in Basilicata. Io mi so questo...... da una persona che lo sapeva.
Occorreva altro? Il giudice, il sindaco, il capitano della guardia civica, appresero dalla medesima voce che il generale siciliano era entrato appunto allora nel paese.
- Santu diavolone! susurrò il giudice di pace all'orecchio del capitano, ecco un'occasione che Dio ci manda, per riscattare l'affare del busto, e salvar vostro figlio, che era egli pure tra i rivoltosi.
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