In prigione, alla ghigliottina! Consegnatecelo, o metteremo fuoco alla porta della casa.
- Piano, eh! dissi io....
E qui, via! mi misi ad improvvisare uno speech serio. Era proprio serio? Nol so, per dio. Ma insomma, parlai. M'interruppero. Io dimandai il silenzio e l'ordine. Mi fischiarono. Ripresi la parola. Mi gettarono dei limoni. Io li presi al volo e continuai. Coprirono la mia voce di urli, d'ingiurie, di bestemmie, di ogni specie di grida di bestia. Io mi coprii infine con dignità, protestai e mi ritrai dalla finestra.
Intanto le accette cominciavano a dar rovello alla porta. Non vi era tempo da perdere. I due Albanesi, Alberto, suo padre, Serafina ella stessa, volevano tirar moschettate sull'udienza in disordine. Io mi opposi. Abbottonai la mia casacca di velluto, calcai sul capo il cappello, misi i guanti.... sì, i guanti gialli che dovevano servirmi per prestare il giuramento alla Costituzione di Ferdinando II... ed ordinai di aprire la porta.
Ed eccomi in mezzo alla moltitudine. Vi erano lì duemila persone. Tutti si precipitarono sopra di me ad una volta. Un furfante mise la mano alla mia cravatta - una bella cravatta tricolore.
- Villano! gridai io sdegnato, non disfare il mio nodo.
E gli applicai una ceffata. Una mano carica dei destini di una nazione, dev'essere pesante: la si rispetta. E' rinculò. Il capitano, il giudice, il sindaco mi circondarono. Ma era impossibile di avanzare.
- Fate largo! gridava la guardia civica.
- In prigione! alla ghigliottina! braitava la canaglia - i fanciulli e le donne più alto degli altri.
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