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      Povere creature! esse hanno così di raro uno spettacolo nella rude loro vita dei campi! Un'impiccaggione, l'è una rugiada: fa epoca. Facemmo qualche passo. Ad un tratto, un uomo si precipita sopra di me, con un trincetto di calzolaio alla mano.
      - Lasciatemi bere il sangue di codesto nemico del mio re! grugniva il manigoldo, scoccandomi un colpo della sua terribile arma.
      Io aveva riconosciuto nella folla un giovane chiamato Galvani, un dì mio compagno di studi a Napoli. Questo ragazzo gridava, a rompersi le costole, che io non era mica il Ribotti, che io era il marchese di Tregle, quando il ciabattino si slanciò su di me. Galvani arrivò a tempo per ritenere il braccio dell'assassino; di guisa che non vi ebbe altra disgrazia, che una bella fessura alla mia bella assisa.
      Allora la guardia civica, che si era infine aperta una via, mi circondò:
      - Gli è meglio che andiate in prigione, mi susurrò all'orecchio Galvani. Quivi, sarete salvo.
      Io parlai, protestai, presi a testimonio uomini e bestie, sulla violenza che si adoperava contro un rappresentante della nazione che recavasi al Parlamento, e rotolai, o piuttosto mi rotolarono verso la prigione.
      Ed eccomi là.
      Non era proprio la prigione ove mi avevano condotto - quelle prigioni di Calabria ove una palla di cannone prenderebbe una flussione di petto e la febbre putrida! M'installarono nel corpo di guardia; al primo piano. Io avevo una guardia che faceva sentinella alla mia porta.
      Appena in gattabuia, io rifaceva il nodo della mia cravatta innanzi ad un vetro, quando il capitano della guardia civica si presentò. Si chiamava don Prospero.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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