I tre funzionari scarabocchiarono un processo verbale, lo fecero firmare dai testimoni, tra i quali mio zio, che dopo di averne sorvegliato la redazione, ebbe altresì la soddisfazione di firmarlo come teste. Quindi, il portone fu scardinato. Quella gente si precipitò nella corte, non senza una tale quale trepidazione. Una parte scese in cantina, un'altra salì la scala. Ma, paf! sul ballatoio, l'uscio del primo piano si chiude loro sul naso. Si batte di nuovo, si vocia un'altra intimazione, si redige un nuovo processo verbale, poi il magnano fa saltare la stanghetta della toppa ed introduce il magistrato nell'anticamera. La porta della sala da pranzo si chiuse come e' mettevano il piede nell'anticamera. Bisognò rinovellare l'intimazione in nome del re, il processo verbale ed il resto. Breve, dopo avere violate così legalmente cinque o sei porte, si arrivò a quella della camera di Serafina.
Due ore erano passate.
Si bussò anche alla porta di Serafina.
- Chi è là? dimandò la giovinetta.
- Aprite, in nome del re.
- Non lo conosco.
- Aprite, o rompiamo tutto.
- Ma, non posso.
- E perchè non potete?
- Sono col mio innamorato.
Il chiavaiuolo aprì, ed i magistrati della piccola città di Scalea trovarono la giovinetta decentemente vestita, assisa sur una seggiola vicina alla finestra, che sporgeva sul giardino a mezza vita di altezza, il visino inquadrato fra due vasi di garofani, infilzando le maglie di un paio di calze, pacifica e sola.
- Ebbene, signorina, gridò il capitano schiumando di rabbia, perchè avete voi resistito al nome del re? perchè avete voi serrate tante porte? perchè non avete aperto alla nostra intimazione? perchè vi siete voi rinchiusa qui, eh! eh! eh!
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Serafina Serafina Scalea
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