Roberto si assise incrociando le braccia sul petto, l'altro continuò:
In tante battaglie ho sparso il sangue per te, messer conte, e quando quel sangue se ne andava al diavolo giù per le vene io zuffolava un'aria di caccia. Ora tu mi vieni a dimandare più che il mio sangue, più che la mia vita, tu mi vieni a dimandare la gioia mia, il mio conforto, la mia preghiera, la mia speranza; l'angelo mio, la mia madonna - tutto insomma, tutto quanto può rendere deliziosa la vita di quaggiù, lieta quella del paradiso, e tutto questo per me è Alberada. Bene dunque, figliuolo mio, poggiati la mano sul cuore ed interrogalo. Se quello ti dice che malvagia cosa ell'è torre tanta beatitudine ad un vecchio e deserto cavaliere senza punto di amore per colei che lo bea, e tu metti la tua nella mia mano, e dimmi: Giselberto, tienti la figlia tua, io non sono quel tanto che tu puoi sperare per lei. Ma se codesto cuore ti dice che l'ami, e che l'amerai sempre, e che la saprai far felice, allora prenditela pure e lasciami morire come i vecchi cani, dimenticati, ma paghi di aver ben servito il loro padrone; perchè, pel santo giorno di Dio, io ti giuro che morirò contento.
E Roberto a lui:
«Giselberto, padre mio caro, io l'amo la tua Alberada e la farò lieta, la soave creatura.
«Dici tu vero, Roberto? gli dimanda di nuovo il barone pieno d'ansia, combattuto dalla gioia e dalla disperazione.
«Vero, risponde colui, e ti giuro per quell'ostia che deve comunicarmi al punto di morte, che io amerò sempre e terrò felice Alberada.
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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano 1864
pagine 522 |
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