- Ed io sostengo, disse l'arcivescovo di Salerno, che il pontefice ha fatto sgozzare Alberada in qualche fondo di chiostro, giusta la condanna dei canoni, come colei che violò le leggi claustrali.
- Ma in quali canoni, monsignor riverito, dimanda il priore, ha vostra mercede letto di codesta crudele condanna?
- Per il carro di s. Eliseo! voi dunque, ser priore, non avete mai studiato nella Georgica di Virgilio:
Dulce ridentem Lalagen amabo,
Dulce loquentem?
Alberada è stata strozzata come il cappone del vassallo a San Martino.
- A proposito, messer abate, chiede Baccelardo ad Ugone di Cluny, non sarebbero esse vere le parole di monsignore arcivescovo?
Ugone, che con gli occhi fitti nella sua coppa, quasi dal fondo di quella dovesse vedere a pullulare da un istante all'altro qualche cosa, si aveva fatto più volte passar d'innanzi il fiaschetto senza toccarlo, alcun poco scosso da Baccelardo, che da un lato gli sedeva da presso, risponde come se si risvegliasse subitamente dal sonno:
- Gli è veramente così, miei figliuoli: la materia è ciò che non è nè chi, nè quanto, nè come, nè niente di ciò per cui l'essere è mosso. Non vi sembra chiara l'idea? Non ne siete voi finalmente padroni?
- Codesta è una balorderia, riprende gridando l'arcivescovo, brillo piuttosto, se per rispetto alla sua dignità non vogliam dirlo briaco. La materia è la materia, come Roberto Guiscardo è un corsaro, e sua moglie Sigelgaita una pazza. Figuratevi un tanghero, come codesto buon figliuolo di legato che vi siede a fianco, matto abate di Cluny, e che becca i cibi come un passero, non beve vino come quel povero papero di Gregorio VII, e non parla, come il pievano di Santa Severina a cui una meretrice tagliò la lingua coi denti; ecco la materia; per la quale:
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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano 1864
pagine 522 |
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