Ma, sia come vuolsi, avevano giudicato così, e non potevasi da quello recedere, come da tutti i giudizi che hanno spesso più inviolabilità che senno. Gisulfo vi pensò sopra tutto il giorno; si chiuse a consiglio con alquanti dei suoi più intimi e fedeli longobardi, si propose, si discusse, si confutò, si mise a scrutinio. Infine, si appigliarono a partito fatale, per non dire vituperoso.
Era una bella sera di luglio, una di quelle superbe sere italiane che han formato mai sempre il delirio dei poeti e la disperazione dei pittori. Iddio, che le ha destinate gelosamente per questo popolo, tanto maltrattato dagli uomini, non patisce che l'opera suprema della sua mano venga sfigurata dall'arte. Non vi era luna; ma più miriadi di stelle ingemmavano la vôlta azzurra, e producevano quel voluttuoso barlume cui s'imita nelle camere delle odalische attenuando la luce coi veli. Dalla marina spirava aura deliziosa, tutta pregna ancora dei baci degli aranceti di Sorrento.
Tutti dormivano. Solamente Alberada, nella cui mente si erano fitte come chiodi le fatali parole del giuramento d'Ildebrando, non poteva pigliar sonno. Ella si vedeva quel fantasima dinnante. Se lo vedeva prima, come al castello del padre suo l'aveva osservato, pallido, cupo, negli occhi riarsi, a giurare che giammai avrebbe perdonato al fratel suo, giammai! Poi se lo rammentava come nelle camere della Tomba di Adriano si era a lei presentato, febbricitante, ardenti gli sguardi, convulso nel volto, che dava a lei commessa di condurgli quel fratello, perchè con lui bramava riconciliarsi.
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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano 1864
pagine 522 |
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