Ed in fatti un rumor sordo e confuso, maggiore del consueto, per la rocca si udiva - un rumore di voci molte che favellano sommesso, di armi che si urtano. Eran forse le scolte che si mutavano. Così pensò da prima Alberada e proseguì nel corso delle sue malinconiche meditazioni. Ma ecco che il rumor cresce più, si odono voci più distinte; ed affacciandosi alla finestra, vede come tante fantasime bianche che al castello si raccolgono. Un pensiero le sorge, un pensier molesto che scaccia via come ingiusto. Non di manco apre la porta della sua camera, e strisciando lungo buio corridoio, al cui fondo si apriva una finestra che dava sul cortile del castello, a quella si affaccia. Allora non dubita più di nulla. Queta queta, come era venuta, ritorna indietro, ed invece di entrare nella sua, entra nella camera dell'abate di Cluny, così dolce e quatta che costui non si sveglia, perchè anche dormendo sognava di Aristotile come donna innamorata del ganzo. Ella, tolto dallo scrittoio di lui un pezzo di pergamena ed il calamaio, esce. Rientrata nella sua camera scrive affrettatamente alcune righe, poi ripiega il foglio che ripone sul petto, e scende nella corte.
L'affollarsi della gente che andava e veniva, l'allestirsi di cavalli, il sordo trambusto, e la confusione per dare e ricevere ordini non fece avvertire il nero spettro che, rasentando di volo le oscure pareti, scivola fuori le porte e si avvia per la città.
Alberada discese con pena l'aspra roccia alla cui vetta sorgeva il castello, ai cui piedi starnazzava la città. Per non perder tempo a seguire i serpeggiamenti della strada consueta, ella si cala dritto carponi per la scoscesa, e presto si trova tra le buie e tortuose viuzze di Salerno, dalle quali con gran pena si può distrigare, e giungere fino presso alle mura.
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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano 1864
pagine 522 |
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Alberada Cluny Aristotile Salerno
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