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      E questi e cento altri pensieri dell'uomo di Stato, dell'uomo civile, del magnate della Chiesa si spandevano per la mente dell'arcivescovo. Guiberto poi meditava da quale umile condizione a quale altezza si fosse collocato quell'uomo fatale; quale carriera avesse percorsa. E mano mano, considerando sè stesso, risalendo dall'arcivescovo di Ravenna al priore di Lacedonia, dal priore al paggio della contessa Beatrice di Toscana, dal paggio al figlio di Bonizone l'artigiano; e Gregorio VII dal papa all'arcidiacono Ildebrando, dall'arcidiacono al priore di Cluny, e dal priore discendendo fino alla bassa origine di lui, giungeva ad un punto dove le due esistenze combaciavano, dove le due carriere si congiungevano, s'immedesimavano; dove i due fratelli, non nemici implacabili come adesso, pargoleggiavano nel povero abituro del falegname di Soano. E qui il pensiero s'inebriava dei placidi trastulli dell'infanzia con tanta voluttà gioiti nel tetto paterno, della patria che mai più tanto lusinghiera non si sente se non quando si è lontani, ed in mezzo alle lutte dell'età adulta. Quindi si risovveniva di suo padre, che, pio e povero, per sudori della fronte somministrava loro il pane, che tanto savii consigli loro dava, e che la sera se li toglieva sulle ginocchia e loro insegnava a mormorare una preghiera per la madre, che più non viveva, loro additava le leggi di Dio, la pietà pei poveri, il rispetto pei padroni, e dopo scarsa cena, ringraziando il Signore deldì trascorso, loro raccomandava di amarsi sempre, ed andavano a dormire sonni sereni, innocenti - di quei sonni che non gustarono mai più, quando, cacciati nel turbine sociale, ad affetti e pensieri dovettero mettere condizione e misura.


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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano
1864 pagine 522

   





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