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      Perchè, se come cristiano aveva piegato la testa innanzi agli arcani voleri di Dio, come principe avea debito proteggere i suoi vassalli, tutelare la sua città. Però il suo carattere era cangiato.
      Non che e' si fosse rammollito su ciò ch'egli chiamava suoi principii; non che avesse perdonati Enrico e Guiberto, no! Ma egli aveva spogliata ogni alterigia di maniere, ogni intolleranza. Non era più aspro coi caduti, non più severo coi colpevoli, non inesorabile con chi si arrendeva, non iracondo e corrivo, non petulante nel pretendere e violento nel togliere per forza. I suoi modi si erano addolciti. Aveva cominciato a sentire la fralezza della carne e compatire, la sventura gli andava insinuando nel cuore quel gran motore del cristianesimo, la carità! E più blando, più docile, più famigliare, quegli che nel 1077 era un vecchio terribile, oggi poteva addimandarsi un rispettabile vecchio. L'istesso suo volto, per lo innanzi sempre accigliato ed aggrinzito dalle rughe cui un'interna irritazione solcava indefessamente, ora sembrava calmo e sereno. Compreso che l'ora della sua gloria e del suo potere era scorsa, che doveva discendere dagli alti pinacoli toccati, che l'Europa, da lui contristata di guerre e di dissenzioni, l'odiava, dalla coscienza infine avvisato del male per lui seminato sulla terra, avea tolta questa sventura come un richiamo di Dio, e non ne avea mormorato. Fino allora insomma egli era stato più principe che pontefice, più uomo che cristiano; oggi che le cose si erano mutate, si era mutato ancor esso.


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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano
1864 pagine 522

   





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