Don Diego obbedì. Però monsignore lo udì a passeggiare nella camera ove ei doveva darsi alla preghiera ed all'esame di coscienza.
- Quest'uomo è pericoloso, mormorò monsignore scrivendo la lettera.
Dieci minuti dopo chiamava Don Diego, che si mise in ginocchio e fece sembiante di confessarsi male o bene. Monsignore non l'interruppe punto ed ascoltò. Quando Don Diego ebbe cessato di parlare, monsignor Laudisio dimandò:
- Hai finito, figliuolo?
- Sì, monsignore.
- Tu non obblii nulla?
- Nulla.
- Tu non commetti dunque che dei peccatuzzi veniali, eh!
- Ve ne occorrono dei mortali, monsignore? osservò Don Diego impertinentemente.
- Va benissimo, figliuolo mio: alzati
- Voi non mi date dunque l'assoluzione, monsignore?
- E' sarebbe uno sciupar le buone cose fuor di proposito. Tu non ne hai bisogno d'altronde.
Don Diego si levò.
- Ho voluto vedere, riprese monsignore cangiando tuono, fin dove si poteva spingere l'audacia del sacrilegio. L'ho visto.
- Prego Vostra Eccellenza Reverendissima di spiegarsi, disse Don Diego con calma, prendendo una sedia e sedendosi, con grande stupore del vescovo che lo aveva lasciato in piedi e l'avrebbe voluto a ginocchio.
- Io non ho che una parola a dirvi, a voi, Don Diego Spani, rispose il vescovo alzandosi: io v'interdico.
Don Diego non si mosse: restò assiso e chiese:
- Potrei pregare Vostra Eccellenza Reverendissima di darmi una ragione della severità di questo gastigo?
- Io non ho ragione a rendere dei miei atti che al re, al papa ed a Dio, rispose il vescovo.
- Nonpertanto, monsignore, quando si batte sì duramente, sì crudelmente, si deve pur dire perchè, - non fosse che per lasciar venire il pentimento.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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