Don Domenico alzò le spalle come un uomo che si dice: Non ci è nulla da cavare da questo idiota! Ed aprì la porta del suo gabinetto.
Don Diego uscì. Era già nella corte, quando il domestico corse dietro a lui e lo pregò di risalire.
Il suo padrone aveva un'ultima parola a dirgli. Don Diego risalì. Don Domenico l'attendeva sulla soglia della porta del suo gabinetto ove era restato a riflettere.
- Udite, diss'egli, un ultimo consiglio. Mio fratello mi ha pregato d'interessarmi del caso vostro....
- Grazie, signore, rispose Don Diego con dignità.
- Mandate vostra sorella a confessione.... Voi dite ch'ella è bella...
- Signore, interruppe Don Diego, mia sorella è straniera ai miei affari, ed io non vedo perchè....
- Infatti! replicò l'impiegato con disprezzo. Ritornate dunque al vostro villaggio ed andate a zapparvi la terra. Io non so perchè siate venuto a Napoli. Io aveva creduto veder lampeggiare sul vostro sembiante altra cosa. Ma, e' pare che la natura si piace talvolta dare al tacchino la forma dell'avoltoio. Addio, signore.
- Scusatemi ancora una volta, signore, riprese Don Diego. Datemi ad ogni modo il vostro consiglio. Voi siete buono in sostanza. Fate come l'agricoltore che getta la sua semenza e non guarda se qualche granello cade sulla pietra.
- Non si semina sul tufo, in generale, replicò Don Domenico con impazienza. Ad ogni evento, ecco ciò che avevo a consigliarvi. Mandate vostra sorella a confessione dal P. Piombini della Compagnia di Gesù ed aspettate. Addio.
E dicendo ciò. Don Domenico volse le spalle al provinciale e rientrò nel salone dove i suoi amici l'attendevano per giuocare una partita di mediatore - una specie di whist bastardo che si giuoca nel napolitano.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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