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      Ella era più bella della madonna di Sassoferrato, cui somigliava. I suoi capelli, un po' in disordine, le cadevano sul collo e sul petto, cui un fazzoletto mal fermo lasciava intravedere. La luce del candeliere la rischiarava dal su in giù, di guisa che le linee del suo viso, fortemente bagnate di raggi e di ombre, si staccavano sul fondo scuro della sua veste e sul color chiaro della pezzuola con un rilievo potente. La sua mano, tirando l'ago, sembrava una colomba che folleggiava su bianca nappa. Il respiro un po' ansioso, a causa del visitatore e di ciò che costui raccontava, dava alle labbra un fremito elettrico. Don Domenico non le indirizzò la parola. Ella levò appena gli occhi e li portò appena su di lui. Don Diego ascoltava. Ad un tratto, l'impiegato salutò la giovinetta, tese la mano a Don Diego ed uscì dal salone. Nell'anticamera, Don Domenico sclamò con voce saltabeccante:
      - Signore, vostra sorella è(12) dessa fidanzata?
      - Non mica.
      - Volete maritarla?
      - Le giovinette sono al mondo per codesto, io m'immagino. Ma mia sorella non ha dote.
      - Insomma volete voi maritarla?
      - Non ho alcun partito preso in contrario.
      - Buona sera.
      Don Diego lo rischiarò fin giù delle scale, - non vi era lampada, - e risalì senza soggiungere motto.
      Don Domenico Taffa correva come un uomo che scappa dal fuoco.
      Don Diego non ripetè a sua sorella il supplemento di conversazione che aveva avuta col suo visitatore.
      Il dì seguente, Bambina ritornò al confessionale del P. Piombini. Suo fratello visitò qualche conterraneo, principalmente un farmacista della strada Foria, il quale gli diede una lettera del marchese Tiberio di Tregle.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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