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      Il suo colorito rubicondo, la sua barba nera, i suoi occhi a fior di testa, le sue labbra a cercine, il suo doppio mento, le larghe narici, i bianchi denti, il comodo adipe, il pelame arruffato e nero, indicavano bene che la natura aveva tagliato quest'uomo e lo aveva destinato ab eterno ad essere zoccolante e confessore di re. Appetiti formidabili, scrupoli smilzissimi, desiderii irresistibili, organi poderosi, stoffa da corazziere sciupata in tonaca, tonaca portata da tagliacantone, croce di vescovo a mo' di bandoliera.... ecco mons. Cocle. Con ciò, vernice di corte, potenza di volontà per domare le sue inclinazioni, voce resa dolce dal volere, l'olio episcopale per rendere scorrevoli gli incastri e le ruote di questo ordigno di ferro, ipocrisia rappresentata con maestria.
      Questo aspetto marziale ed apostolico aveva sedotto un re marziale e devoto. Monsignor Cocle faceva il ménage della coscienza reale con magnanimità: egli metteva il re sempre a suo comodo con Dio. Ferdinando II non domandava altro. Conosceva egli la pratica del suo confessore con Lusetta? Io penso che sì; ma "passatemi la sena ed io vi passo il rabbarbaro."
      Mons. Cocle terminava il suo asciolvere quando il suo amico ed associato Don Domenico Taffa fu introdotto da lui. Erano della medesima provincia e terra, si conoscevano dacchè il vescovo non era che semplice novizio, ed il capo di dipartimento un povero soprannumero con cinquanta lire l'anno per tutto soldo. Don Domenico piegò il ginocchio innanzi al vescovo e gli baciò la mano.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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