- Ti veggo venire, il mio libertino. E poi?
- Ma, ecco tutto. Io sono troppo, troppo povero per appropriarmi quel diamante incomparabile. Codesto non può ornare che una corona, una tiara o una mitra.
- Avresti meglio fatto a cominciar dalla mitra, giacchè suo fratello vuole esser vescovo.
- Ma e' non l'è mica ancora, poichè non ha i sei mila ducati, e poichè la sua piccola Vergine Maria non si mette al Monte di Pietà. Allora, ei sarà ciò che sarà. Noi abbiamo la nostra Lusetta propria a tutto, che ci ammalia con i suoi occhi stupefatti, col suo appetito, col suo fiato.... A proposito, fuma dessa, monsignore?
- A fe' di Dio! non lo so mica, urlò monsignor Cocle ridendo. Ad ogni modo, cionca del rhum. Ma che diavolo vuoi? Ho il tempo per cacciar le colombe, io? La vi era, nel tempo in cui la confessavo come semplice monaco, la vi è restata. Ma tu sei il suo nemico, tu, perchè ella ha domandato la sua mancia su i tuoi affari. Ciò è giusto però, e' mi sembra.
- Che V. E. Reverendissima mi scusi. Io non sono il nemico di Lusetta, ma il servitore rispettoso e devoto di monsignor di Patrasso. Ora, poichè il fratello non ha denari e che io non posso fargli alcuna anticipazione sul pegno prezioso che e' possiede....
La porta si aprì. Il re entrò. Don Domenico rinculò fino al fondo del salone. Monsignor Cocle si alzò. Il re andò dritto a lui e gli baciò la mano.
- Io vado a far saggiare qualche cannone, fuso ed apparecchiato a Pietrarsa. Vogliate ascoltarmi in confessione, disse Ferdinando II con l'aria di chi non ha tempo da perdere.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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