Voglio io lottare? non ho armi.
- Mio Dio, mio Dio! che abbiam dunque noi fatto a Dio, che ci tratta cosė?
- Lasciamo Dio e pensiamo agli uomini. Son dessi che fanno il male, ed č ad essi che occorre renderlo.
- No, no: restiamo vittime, sclamō Bambina. Sovvienti, Diego, delle parole di nostra madre, accanto al nostro povero fuoco, quand'ella non poteva pių lavorare: Coraggio, figli miei, diceva la povera donna, Dio non paga il sabato.
- Nč la domenica, nč il lunedė, nč alcun giorno della settimana.... Io attendo il mio salario da quarant'anni. Giammai. Il dado č gettato. Io voglio esser vescovo. Io l'ho promesso a mons. Laudisio. Io me lo son giurato. Mi domandano seimila ducati. Non li ho, non li avrō mai a meno che non vada ad arruolarmi come brigante nella banda di Talarico. Se io avessi un segreto di Stato a mettere a partito, - uno di quei segreti che fanno marciare i complici, che s'impongono al re, di cui si traffica come d'un diamante, quando il coltello od il veleno non saldano la reale riconoscenza... - Ah! se io avessi un segreto di questa natura... io forzerei il pastorale a venirsi a collocare fra le mie mani. Ma non vi sono che i ministri ed i grandi confessori che posseggono di cotesti segreti, ed essi ne usano per loro proprio conto. Che mi rimane allora? Te, Bambina, te mia pura, bella, fragile e santa creatura.
- Me! e come? sarebbe dunque possibile? sarebbe dunque vero?
- Ascoltami bene, figlia mia. Io ho capito infine il gioco di quel Don Domenico Taffa che ti domanda in matrimonio.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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