E frattanto ch'egli succhiava delle conchiglie, il sole ed il mare s'incaricavano dell'imbiancatura di sua signoria.
Neppure la quistione dell'alloggio non era stata giammai una per lui. Egli avea fisso il suo domicilio al terzo scaglione della gradinata della chiesa di S. Teresa, a Capodimonte. Il proprietario non gli dimandava mai il pesone, come il popolo napolitano chiama il fitto della casa.
La parola dice la cosa.
Ma l'inverno? domanderete voi. L'inverno? Ebbene, fra tutte le calamità sociali che affliggevano la città di Napoli, la Provvidenza le ne aveva risparmiata una che forse le valeva tutte. A Napoli non vi erano portinai, o piuttosto non ve n'era che uno solo: lo svizzero del re! L'inverno dunque Gabriele si cacciava in un cortile, s'appollaiava dietro una porta, in una rimessa, in una stalla. A giorno, cominciava a battere le strade, se gli restava ancora qualche soldo, ovvero andava a vedere sua madre, nel suo orribile buco al mercato, se aveva fame.
Questa esistenza spensierata e nomade era il suo apprendimento della vita. La famiglia naturale l'avea rigettato, la famiglia adottiva era stata disciolta dal potere politico: orbo di padre e di guida, egli vagava alla mercè del caso, e si dava a lui tutto intiero.
Il caso è l'istinto.
Sua madre un giorno lo sgridò: credo anzi che lo battesse un tantino. La povera donna voleva tirarselo dietro in una chiesa, ed il galuppo preferiva di restar fuori, al sole. Gabriele se la spulezzò, e per due o tre giorni non comparve al tugurio.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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