Filippo sostò un istante, arrossì della sua ferocia. Egli ebbe forse orrore dell'atto cui la collera dello schiaffo ricevuto gl'inspirava. E' piegò dunque il mollettone, lo nascose di nuovo, e rispose:
- Vivi. Io ti perdono, Gabriele. Noi abbiamo adesso una vendetta a pigliare insieme.
Un bravo! prolungato, seguì queste parole. Gabriele si alzò con impeto, e stringendo(38) Filippo fra le sue braccia, gridò:
- A te, per la vita e per la morte: tu sei mio fratello.
In quel momento, il carceriere in capo comparve e disse a Filippo che il direttore lo chiamava. E' lo condusse seco.
Era il conte di Altamura che lo chiamava. Innanzi al conte, Filippo divenne umile come il soldo innanzi al milione.
- Filippo, disse il conte, fra qualche giorni io avrò bisogno di te e di un altro individuo determinato ed energico, cui si possa all'occorrenza condannare alla ghigliottina. Occorre pescarmi ciò in qualche sito.
- Ho il vostro uomo.
- Fuori?
- Qui stesso. Ma egli è condannato.
- Lo si farà evadere. Tu hai sempre la tua grazia.
- A che opera dobbiam noi lavorare?
- Affinchè la sorpresa non paralizzi il vostro braccio quando il momento sarà giunto, io te l'annunzio fin d'ora. Trattasi di sbarazzarmi d'un... di un qualche cosa come un vescovo. Un colpo solo, secco, netto, subito come il fulmine, al cuore, alla nuca.... e dileguarvi come un soffio di vento. Assuefatevi a codesta idea. Non sorpresa nè scrupoli. Un vescovo che spiace al re, che cospira contro lo Stato, è meno che un uomo, gli è un cane arrabbiato.
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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano 1874
pagine 387 |
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