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      L'incubo si mise della partita. E si disse: eh! e se mi ammogliassi? Come! animale bruto, all'età tua? Sì, rispose egli stesso. Bah! usciamo. Il mondo gli sembrò stolido. Sbadigliò. Cercò per un'ora nelle sue tasche il moccichino che un monello gli aveva portato via delicatamente. Andò allo spettacolo, ove cominciò per irritarsi contro il suggeritore e finì per addormentarsi. Il quinto giorno si sentì malato, fu di pessimo umore, dichiarò che non digeriva più.... Breve, otto giorni dopo il marchese di Tregle avendo pietà di questo artista rientrato in un borghese, gli disse:
      - Don Gabriele, i napolitani vogliono lapidarmi perchè io ti ho portato via dalle strade della città cui riempivi di brio e di gaiezza. Va dunque a divertirli un paio d'ore al giorno.
      Ciò fu la liberazione per don Gabriele. Il marchese lo tirava dal limbo come un tempo il Cristo ne aveva tirato il re Davide e compagnia. Don Gabriele credeva compromettere l'onore della casa di(43) Tregle continuando a fare l'istrione. Guarì a vista. I napolitani lo rividero con gaudio far dare le batoste al frate dal marito geloso ed allo sbirro da Pulcinella. Don Gabriele però si dette un allievo, quando cominciò a rappresentare una parte politica. Ma quello allievo, ahimè! non aveva la divina scintilla dell'improvvisazione del maestro, i suoi tratti arguti e vivi, le sue risposte scintillanti. Don Gabriele se ne desolò dicendo:
      - Mille miserie! l'arte morrà con me!
      Egli accompagnò il marchese a Roma, da fedel Servitore, non da esiliato.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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