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      Laonde quando si crede camminare sur uno strato di pietre calcaree si cammina sulle ossa bianchite dei combattenti: dove oggi una squallida spiaggia comprime l'anima di malinconia, ieri sorgeva una città. Il passato si solleva d'innanzi ad ogni passo per ravvivare le forze dell'intelletto: il presente solletica lo sguardo con la spontaneità creatrice e malinconica di una natura non adulterata. Quella terra sembra slanciata dalla provvidenza in mezzo agli oceani compatta e finita come un pensiero.
      Aperta agli urti delle razze slave e meridionali, i suoi popoli avevano sulla catena degli Appennini, che la percorrono, un punto di congiungimento come i nervi sulla spina dorsale. Quivi le forze vitali della nazione si aggruppavano, si ritemperavano. Tutto ciò che avevasi attinto di straniero si evaporava nella mistione nazionale, ed in quel nucleo, spesso additato come covo di banditi, lo spirito della patria manifestavasi intero, il cuore palpitava di affetti non obliati. A quella gente non è mancato sovente che un Pelagio per riscattare un popolo nell'idea di Dio, creato per esser uno e fuso in una famiglia sola, ed a cui la violenza e la tristizia diedero tre fisonomie, anche oggi distinte quasi ed incomposte. Gli Abruzzi, le Puglie, le Calabrie sono sempre tre parole differenti benché compongano una frase. Le razze e le dominazioni straniere si sono succedute su quel suolo, e non vi sono passate se non per togliergli qualche fibra d'individualità, e lasciargli molti vizi, molte miserie, ed un tesoro di odio per qualunquesiasi dominio e qualunquesiasi straniero.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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