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      Inoltre egli abomina la cittā. Per lui la cittā č il creditore che lo rode, che succhia il suo sangue: č l'esattore delle imposte che profitta solo del sudore della sua fronte: č il birro che lo tormenta, il magistrato che lo condanna, il gendarme che lo imprigiona, il ricco che gli prostituisce la moglie e la figlia. La cittā č il prete che gli predica un culto incomprensibile, ed in nome di Dio gli glorifica la schiavitų; č il soldato che gli devasta il campo; in una parola, č il governo che sotto tutte le sue molteplici facce lo incatena e lo tortura. Nella cittā egli sente l'odio per chi lo perseguita, sente l'invidia delle ricchezze, il bisogno sotto tutte le sue pressioni; lā comprende il lusso, lā concepisce la voluttā. L'acqua della fontana, qualche pomo di terra bollito quando giunge ad averne, supremo benefizio che ritrae da una terra fecondata dal suo sudore, una crosta di pane nero che č il lusso delle sue vivande ed il medicamento delle sue malattie, due piote ricoperte di erba, il padiglione risplendente del cielo; ecco tutta la parte delle delizie della sua esistenza, che egli ritrova nella campagna. Pure vi si rassegna e la preferisce a quella pių dolorosa che la societā gli aveva assegnata, la fame, il freddo, il fango della strada e la lordura. La cittā gli fa male. Egli vi č stimolato dal bisogno di mangiare la carne, che pure non mangia se non una volta o due nell'anno, nelle grandi feste e il dė delle sue nozze. Lā sente la voglia di bere il vino, che pure beve tanto raramente; e forse anche di ubbriacarsi e di attaccar brighe.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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