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      Allora egli agogna un letto soffice e caldo, cui, se per avventura gli è dato premere una volta, abbandona repente come un supplizio, come qualche cosa che lo incatena e quasi gli dà l'incubo e gl'impedisce di dormire. In una parola, nella vita libera del campo egli è povero, infelice anzi, ma si è abituato a trovarsi di faccia a faccia con Dio, con le sue interne ispirazioni. Egli è là con un passato che gli parla nell'anima una voce misteriosa sì, ma potente e poetica, egli non arrossisce di nulla. Nella città tutte le sproporzioni sociali e le idee fittizie lo prendono alla gola, lo stupiscono. Perciò è impacciato e goffo; sembra non comprendere più nulla. La vita è per lui un orribile geroglifico. Il prete non gli parla più del suo Dio, o non lo riconosce in quel fantasima terribile ed esigente che gli si addita. I suoi fratelli di miseria gli sembrano lupi, vampiro inflessibile il governo che gli domanda il frutto del suo travaglio, la sua libertà, i suoi figli, la sua volontà, la sua anima tutta intera. Un abisso lo separa dal resto dei cittadini, e questo abisso è l'organizzazione sociale, è la fame.
     
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      3. La nazione napolitana è divisa in due classi: il proletario e la borghesia. L'aristocrazia è un essere incompleto ed impotente, la quale non ha che un nome infecondo financo di memorie. Passiamo su lei. Abbiamo guardato il proletario il quale non ha altra risorsa fuori del braccio e dell'intelletto: esaminiamo la borghesia: Questa abbraccia tutti coloro che possiedono, incluso il clero e queglino che attingono la sussistenza nello stato discusso, ossia i funzionari pubblici.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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