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      Fatalità che fu la prima radice delle sventure che seguirono e che or ora racconteremo. La determinazione di uscir dall'ignobile situazione attuale individualmente era universale. Il governo non rinveniva più simpatia né in alcun luogo, né in alcuna persona, nemmeno fra quegli stessi soldati, in mezzo ai quali re Ferdinando aveva vissuto famigliarmente per affezionarli alla sua persona. Lo spirito della rivolta soffiava dappertutto: una specie di abnegazione e di disinteresse si manifestava in ognuno. Non pertanto collettivamente pochi s'intendevano, pochissimi osavano confidarsi le proprie speranze ed i propri disegni, abituati qual erano al lungo vassallaggio, ed al sospetto di rinvenire in ogni uomo un agente di polizia. Inoltre le forze del governo magnificavansi di molto, e non mancava chi lo credesse, dal perché feroce ed inesorabile se n'era sentita pesar la mano per tanti anni. D'altra parte i mezzi di cui potesser disporre i liberali scarseggiavano. I giovani che si accingevano a misurarsi in campo aperto, a traverso tutti i pericoli, mancavano di sperienza e di fortune. I vecchi rivoluzionarii, i quali furon poi con profonda ironia denominati i martiri del 1820, apportavano nel patrimonio comune sospetto, scoraggiamento, pretensioni smisurate, disprezzo per la generazione novella, diffidenza, poca convinzione, nessuna moralità, e qualcuno manifesta malafede. La dissensione cominciò a nascere nel campo dei crociati, quasi prima di formarsi. Il dubbio dell'esito che innanzi non era sorto in alcuno, cominciò ad essere fecondato da un soffio occulto, che si sentiva senza comprendere e senza conoscere donde spirasse.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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