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      L'avvenire palesò di poi che in mezzo a noi ci era un miserabile, che s'inspirava alla corte e che come madama Lafarge ci avvelenava a poco a poco. Un'ansietà divorante e malaticcia si manifestava a misura che si approssimava il giorno della denunziazione della rottura delle ostilità col governo; sì che fu d'uopo posporre per due volte il periodo. Vi volevano delle armi e si promettevano spesso, ma non si ottenevano mai. Vi volevano dei danari, ma i sacrifizi anche più leggeri trovavano sempre repugnanza, ed ogni giorno producevano la diserzione di un soldato. Vi volevano degli uomini per destare l'entusiasmo nelle provincie e combinare la coesione e la contemporaneità della sollevazione, ma nessuno si riconosceva popolare tanto da dominare lo spirito pubblico. Qualcuno era pronto ad esporre la propria vita, ma rinculava in faccia al compromesso della volontà altrui e declinava il cattivo esito della missione. Era forse orgoglio, era fierezza, era egoismo, forse anche convinzione, ma non paura; era un dubbio avvelenatore che agghiadava tutti. Infine vi voleva della scaltrezza, del sapere, dell'opinione, della popolarità, e nessuno era trovato da tanto che innalzata la bandiera della rivolta avesse attirata a sé la considerazione e la simpatia generale fosse giudicato competente da tutta la nazione, creduto e seguito senza discutere. Un Kossuth, un Garibaldi, un Manin, un Mazzini ed altrettali di quelle probità e capacità politiche che sono proclamate e riconosciute dall'universale, che personificano e danno una significazione ad una rivolta, non eran presso di noi.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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