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      Perciò una specie di stanchezza prima di cominciare, una specie di stupore. Si era svogliati, si titubava, si respirava l'alito della rivolta con precauzione e condifficoltà. Le individualità erano molte e non sceme di risoluzione, di attività; ma il lievito che doveva metterle in fermentazione, il cemento che doveva accozzarle per ridurle a corpo, l'anima insomma che doveva fecondarle mancava o era insufficiente. Non pertanto si scelse, ovvero, per dir meglio, un uomo si offerse da sé, facendo valere il passato in guarentigia dell'avvenire.
     
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      12. Francesco Paolo Bozzelli che aveva alquanti anni esulato per aver partecipato alla rivoluzione del 1820, si era saputo orpellare di vaghe penne, stemperando in fanfaluche metafisiche qualche pagine triviali di pubblicista. Aveva opportunamente assunta la divisa di liberale, aveva vissuto povero e ritirato. Fu perciò creduto capo idoneo di un Comitato centrale che si formava in Napoli, e che doveva servire di mente e di cuore alla rivoluzione. Il sospetto sorse in vero in qualcuno, ma tosto fu soffocato, e si credette carità di patria non mettere la diffidenza nel consiglio stesso di Agramante. Bozzelli, d'intelletto volgare, di anima sterile e scettica, sapeva mentire come una cortigiana. Nato per essere commediante, ne aveva tutte le risorse, sino a mettere in evidenza con l'abilità dell'istrione le più meschine idee, le più vaporose frasi. Della scuola immorale e materialista dei dottrinari di Francia, informe caricatura di Guizot, ne parodiava l'intelligenza e la tristizia.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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