La fierezza dell'individualità umana messa faccia a faccia con l'immensità della natura si ribella e protesta. La gioventù napolitana esasperata da lunga e stupida tirannia di preti e di birri, martoriata da ogni specie di umiliazioni e soprusi, anelava, accelerava il momento dell'insurrezione, malgrado tutti gl'intoppi creati dal Comitato. Le nuove idee fermentavano nel suo spirito ed a traverso tutto si rivelavano. Essa ne sentiva il dominio, ne subiva la dittatura. A Napoli vi era il costume che, un'ora dopo il tramonto, nella piazza della Reggia le bande militari suonassero due o tre pezzi di musica. Gli studenti vi accorrevano perché quella specie di spettacolo gratuito li allettava, e soddisfaceva al bisogno di armonia che sembra indispensabile all'organizzazione italiana. Quella sera si suonava un'aria marziale del maestro Battista. Quegli accordi maschi agirono da provocatori sopra animi disposti e commossi da irritazione interiore e dall'incanto di una notte sì voluttuosa ed eloquente. Trascinati dall'istinto, senza riflettere, senza titubare, unanimamente domandarono che quelle note fossero ripetute, e strepitosi applausi si fecero udire. Alla domanda inusitata si oppose il rifiuto, e gli astanti fischiarono; immediatamente i soldati di guardia accorsero, la polizia vi si pose di mezzo; qualche colpo fu dato, qualcheduno arrestato. Ma la massa inebriata, incollerita, replicatamente gridò abbasso la Polizia; ed al grido di viva Pio IX, stretta in falange compatta, si fece largo spingendo da lato birri e soldati, e trionfante, ripetendo sempre le stesse grida, percorse la strada di Toledo.
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