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      Delcarretto, offeso nell'orgoglio, balbutì qualche giustificazione e promise che mai più quegl'impreveduti baccani si sarebbero rinnovellati. La notte si fecero innumerevoli arresti. Delcarretto doveva fingere tutto ignorare. Le vittime furono gittate nelle prigioni orribili della polizia e qualcuna, lui insciente, anche martoriata da quei due assassini senza coscienza, i commissarii Campobasso e Morbillo, dei quali la crudeltà e la rapina si disputavano l'anima. Gli incarcerati dimostrarono il più grande sangue freddo. Non una parola, non un atto, non una debolezza in faccia alle minacce ed alle sofferenze li tradì: il nucleo della cospirazione rimase celato ai funzionarii subalterni della polizia. Il Comitato di Napoli intanto lungi dal pensare a provvedere armi e munizioni, e spendere utilmente le tenui somme che dalle largizioni particolari raccoglieva, si spossava in concerti col Comitato di Palermo, ed in maneggi sterili con i popolani per addestrarli ad una evoluzione teatrale. Questa caricatura di rivoluzione domandata ai popolani consisteva a farli partir fuggendo da varii punti della città, ad un'ora stessa, senza profferir sillaba (fui fui), ed atterrire, non so con qual disegno, i cittadini. Allora le botteghe ed i portoni chiudevansi con fracasso e prestezza, cercava ognuno un rifugio, le donne mettevansi ai balconi, e qui un chiedersi a vicenda con mille differenti e mostruosi commentarii la ragione dell'allarme. Questo futile maneggio fu mercanteggiato dai commissarii del Comitato nelle taverne, fra bicchieri di vino e strette di mano, ma neppure un barlume fu fatto trapelare mai a quelle povere macchine né di riforme né di libertà né di rivoluzione.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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