Il 12 gennaio passò, e la rivoluzione a Napoli non successe. Palermo invece mantenne il patto; ed il mattino del 12 il grido di guerra contro il Borbone suonò. Non essendo mio disegno scrivere la storia della rivolta al di là del Faro, non ispecificherò i particolari di quel giorno di gloria. La rivoluzione fu intera: fu formulata senza ambiguità. Le novelle bentosto ne giunsero a Napoli per colmare noi di gioia, la corte di lutto. Re Ferdinando, educato in tutta l'opulenza del dispotismo e viziato dalla più codarda adulazione, come una pantera ferita si abbandonò ad ogni delirio di furore. Furono spediti navi e soldati: il suo proprio fratello fu inviato a Palermo per ispegnere nel sangue l'incendio, e mercar tutto per oro e per nastri. Però, qualche giorno di poi, il conte di Aquila tornava senza aver potuto nulla ottenere, e dichiarava che, almeno pel momento, ogni cosa era perduta. E quasi comentario alle asserzioni del principe, i soldati della guarnigione in gran parte feriti, tutti nudi, disarmati, affranti, erano ricondotti a Napoli sui vapori da guerra. Era quella l'ora opportuna di battere a breccia lo screpolato baluardo del dispotismo borbonico, e purgarne la sacra terra d'Italia sì lungamente infetta. Ma l'inetto Comitato non si riscosse, e propose invece nuovi sperimenti dello spirito pubblico. Il giorno 25 gennaio 1843 (1) si fece mettere in iscena dai popolani la corsa preparata. Alle undici del mattino, da parecchi rioni di Napoli, si scagliò precipitosamente fuggendo un'onda di popolani.
| |
Napoli Borbone Faro Napoli Ferdinando Palermo Aquila Napoli Italia Comitato Napoli
|