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      Pio IX era la manifestazione di questa necessità sociale, e tutta Italia lo aveva compreso. Essa aspettava l'opportunità. La costituzione di Napoli colmò la sureccitazione, e fu come un colpo di azza per tutte le teste coronate di Europa. In quindici giorni il regime costituzionale era il regime governativo d'Italia, le provincie austriache eccettuate. La voce di Ezzechiello suonava sulle bianche ossa dei sepolcri: l'angelo della vita aveva soffiato sulla terra dello squallore. L'Italia torpida, l'Italia consunta, l'Italia eunuca, l'Italia cadavere non era più. Chi la percorreva trovava che la nobile natura, il fiero ingegno e il cuore indomito della regina del mondo civile viveva ancora, era ancora giovane e potente per concepire il voto della sua indipendenza e della sua unità. Il grido di tutti i petti fu uno, uno il volere di tutti i partiti - fuori il barbaro, viva l'Italia. E per questo inflessibile principio di ricompaginazione, al grido di morte all'austriaco, si accoppiò quello di viva Gioberti. Questo snervato utopista, germe primo dei nuovi mali d'Italia, aveva riscossa la polvere alle ambiziose idee di Gregorio VII e degli autori guelfi, e ce le aveva inviate come una scoperta per lui, una conquista per noi. Italia, con un consiglio di Stato consultativo, la censura sulla stampa, e tutta la fiducia possibile nell'amore paterno dei sovrani, a brani qual era, croata, svizzera, inglese, francese, l'Italia doveva federarsi sotto l'autorità suprema del papa, e cantare l'osanna della prosperità e della felicità. Malgrado queste puerilità, solo perché aveva accennato di un mastice qualunque volere accozzata l'Italia, il nome di Gioberti fu salutato nella gioia universale.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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