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      Ma quell'applauso non andava al suo sistema, andava all'idea immensa, all'idea di Dio, l'unità autonomica della penisola. L'idea madre della rivoluzione italiana era stata questa: noi volevamo principiare di là. E se la ricostruzione d'Italia fu stornata, non ebbe attribuirsi a noi radicali che domandavamo si passasse sopra ad ogni altra quistione di forma, ma al partito moderato e costituzionale il quale nudriva ancora fede in quella povera mistificazione che chiamasi Carta, che credeva ancora il re un essere correggibile e disciplinabile. La loro speranza era uno sconoscere il principio motore della rivoluzione, era obliare che la costituzione era stata strappata dal pugno dei principi come una preda dagli artigli di un'aquila. I siri d'Italia non avevano ceduto, erano stati vinti dopo avere lungamente lottato. E noi trascurammo la vittoria! La reazione di oggi è frutto della spensierata fiducia di allora: eppure noi, disgraziati, illusi dal cuore, non faremo senno giammai. Sia comunque, l'anima ci tradì: ci ubbriacammo di gaudio e perdemmo di vista le manovre dei principi il cui odio giammai non riposa. Essi ci lasciarono rappresentare la parte di Sandanapalo nelle orgie, e rinchiusi nei loro pensieri, rivenuti dallo sbalordimento, cominciarono a veder netto nella scambievole situazione. La battaglia ci aveva dato tutto; col trattato di pace, con le costituzioni dovevamo tutto perdere. - Bisognava mettere l'Italia alla croce di uno statuto angusto come i forni di Monza, attaccare un popolo vivo ed attivo ad un cadavere.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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