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      Sia comunque, i siciliani, dall'XI secolo, salvo poche interruzioni, avevan sempre goduto di una specie di costituzione municipale, come il diritto pubblico di allora le comprendeva. Francesco, padre del re attuale, nel discorso tenuto nel 1810 all'apertura del 126° parlamento in Palermo, in nome del re suo padre aveva parlato di difesa d'istituzioni politiche a cui si era con vincoli di amor patrio tenacemente attaccato, e che a tutto costo si dovevano conservare ai successori, non essendosi salvate che nelle due isole più famose del mondo, la Gran Bretagna e la Sicilia. Nell'atto con cui, nel 1° agosto 1812, il vicario generale domandava essere autorizzato sanzionare la costituzione novella, dicevasi: avere il re replicate volte dichiarato che qualora la Sicilia volesse cangiare la sua antica costituzione, egli preferiva l'inglese. Ed in effetti re Ferdinando I la sanzionava, essendo ciò secondo le sue intenzioni. L'articolo 17 di detta Costituzione proclamava il regno di Sicilia indipendente da quello di Napoli. Nel discorso della corona del 18 luglio 1814 promettevasi alla Sicilia l'esistenza sua propria e l'indipendenza politica, sacro diritto di cui doveva essere orgogliosa. Infine l'ambiguo articolo 104 del congresso di Vienna riconosceva Ferdinando re del regno delle Due Sicilie. Con questi ed altri documenti, la rivoluzione compiuta, i siciliani domandarono: libertà di reggimento restituito con la costituzione del 1812, adattata ai tempi: indipendenza da Napoli. Il ministero rifiutò da prima, dichiarando con tali concessioni offendersi il principio diplomaticamente riconosciuto dell'unità del regno.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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