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      In effetti né di guardia nazionale, né di legge elettorale, né di convocazione del parlamento, né della sformazione del corpo esoso della gendarmeria, né della composizione dei pubblici uffizii parlavasi ancora. La forma del governo insomma era l'anarchia. I partiti lavoravano, ma in sensi diversi: gli agenti del governo e dell'Austria lavoravano anche essi, ma per avvelenare i principii del popolo ed alienarlo dalla libertà. L'ansietà quindi, l'incertezza e la collera ambasciavano il paese. La stampa, di accordo nel demolire, non sapeva proporre che inezie e sconcordanze. Essa non traduceva il volere della nazione, non indicava una strada all'opinione pubblica. Un pensiero energico e pregno di avvenire giammai concepivasi da essa, non istruiva il popolo, che pur tanto ne abbisognava, non conciliava gl'interessi di alcun partito, non illuminava nulla infine, null'altro che le piaghe ignominose del passato e le metteva in evidenza. Era scapigliata, ma non liberale né riformatrice: rimuginava nella vita e nel cuore di qualche individuo, ma obliava la politica e non sorvegliava il governo. Avea le idee di un fanciullo, le passioni di un adulto. I clubi, espressioni individuali e non di un partito, non avevano né radice né simpatia esteriore: non significavano nulla, non un'idea politica, non un centro di azione, non un mezzo di forza, nemmeno un principio d'iniziativa, nemmeno un colore o una forma. Ciascuno agiva per sé e per una ristretta sfera, e plaudiva ad ambizioni immerite e sterili.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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