In Vienna d'altronde l'iniquo governo era stato colpito sulla fronte, e la vecchia macchina, sfasciata, andava in ischegge. Un alito nuovo spirava nella politica: nuove mani avevano assunto il governo di un corpo che cadeva a brani. Le nazionalità dell'impero si risvegliavano tutte l'una dopo l'altra. La stella dell'Austria sembrava già tramontata. Ispirato da tante favorevoli opportunità, Carlo Alberto teneva in pugno la vittoria, e l'aggregazione del Lombardo-Veneto ai suoi Stati. E chi sa, che non vagheggiasse pure la grande idea della concentrazione d'Italia! Ogni patto quindi con gli altri governi italiani gli sembrò un compromesso, e lo rigettò come inopportuno. Egli disse: facciamo la guerra, restiamo padroni di casa nostra noi, poi comporremo in famiglia le domestiche differenze. Aveva torto? io penso di no. Il bisogno vitale d'Italia è l'indipendenza dallo straniero, è l'essere nazione. Fino a che non domina le Alpi; fino a che le chiavi della Penisola sono in mano di un barbaro che può scendere a devastarla ogni qualvolta una nuova avidità lo tormenta; qualunque accordo, qualunque equilibrio, qualunque libertà si diano quelle frazioni di popolo, sono in balia di un nemico che o le può spezzar con la forza, o con un veleno occulto dissolverle. La pressione costante, che una razza straniera ed avversa esercita attivamente sulle popolazioni italiane, rende impossibile ogni seria coesione fra loro: chiamarvela a parte, gli è infiltrarsi un principio dissolvente che prestamente tutto corromperebbe.
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