Vi è nella natura dei due popoli qualche cosa di ostile e d'incompatibile che mai non riposa, e di cui è impossibile l'amalgama. Fino a che dei legami di violenza le tengono congiunte, né l'Italia né l'Alemagna raggiungeranno mai una soluzione intera della scambievole organizzazione, una libertà di azione per compiutamente svilupparsi. E perciò porteranno entrambe mai sempre in sé un germe di debolezza e di morte. Carlo Alberto quindi non aveva torto, se, respingendo la federazione, diceva: mandatemi uomini ed armi: aiutatemi a cacciare l'austriaco, e, riscattata l'Italia, ne regoleremo le sorti. Agl'italiani d'altronde nulla importava che Carlo Alberto avesse disegno d'ingrandirsi, e che fosse stata la Casa di Savoia che li avesse uniti in un fascio e dato loro una patria ed una vita. Lo ripeto, e mai non mi stancherò di ripeterlo, la nostra condizione di esistenza, unica, inevitabile, è l'essere un popolo, formare uno stato, esser retti da un solo governo, abituarci a riconoscerci italiani, obliare la vecchia geografia, le vecchie puerilità di vanagloria municipale, le vecchie gelosie, in una parola tutta l'opera del medio evo. E sia il papa o il duca di Parma, Radetzky o Ferdinando Borbone, la monarchia o la repubblica che ci apporti tale normale situazione, passato il periodo della violenza, assisi nella famiglia delle nazioni europee, come da un gran popolo si debbe, penseremo allora alla forma del reggimento con cui sviluppare la vita interiore e manifestarci all'universo.
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