In una parola, si legittimava l'anarchia. A questo vizio organico del patto fondamentale della nazione aggiungevasi: un censo esorbitante sì per gli elettori che per gli eleggibili: l'interdizione della parte intellettuale del paese: l'oblìo compiuto del giurì: l'indeterminazione di tutte le libertà da regolarsi con apposite leggi, e nel tempo stesso un veto assoluto al principe che poteva per questo solo mezzo tutte annullarle legalmente; e la formazione di una camera dei pari totalmente di nomina del re. Queste violenze alla natura normale della nazione raddoppiavano il malessere sociale. In un paese povero, assolutamente agricolo, senza industrie, senza commercio, incatenato nello sviluppo di tutte le sue attività, l'elevazione del censo interdiceva l'esercizio dei suoi diritti sovrani a nove decimi della popolazione. - Gli uomini addetti alle speculazioni intellettuali, in un paese in cui l'intelligenza è una sventura che trascina seco gli anatemi del clericato e le persecuzioni della polizia, tali uomini, i soli illuminati, i soli capaci di rappresentare le alte funzioni della sovranità nazionale, perché poveri, da queste funzioni erano rimossi. E nel tempo stesso vedevasi lo strano spettacolo che quel Bozzelli, il quale non aveva neppure il censo per essere elettore, era ministro. In un paese infine in cui l'aristocrazia non ha radice, non ha esistenza, non ha interessi né speciosi né parziali, non ha in una parola che un povero titolo poveramente trascinato nelle officine delle segreterie, nei ranghi dell'esercito o nelle scuderie della corte: in tal paese una camera dei pari, oltre al non avere necessità di esistenza, oltre all'essere avversa a tutti gl'istinti e tradizioni nazionali, era innormale, anacronistica, non poteva rappresentare che interessi fittizii, ossia abusi, ossia usurpazioni monarchiche, non poteva essere saturata che da vescovi, arcivescovi, servidorame di corte e pubblici funzionarii.
| |
Bozzelli
|