Il programma del 5 aprile aveva sanzionato che la rappresentanza nazionale avrebbe svolto lo Statuto. Le elezioni erano state compiute sotto questa influenza, con questo mandato. Il ministero fu biasimato per aver condisceso a tali desiderii del re: ed una commissione andò a notificargli nel tempo stesso ed il biasimo ed il rifiuto del giuramento. Ferdinando ne gongolò di gioia ed ostinossi nella formalità: i preti sussurrarono i deputati essere atei per rifuggire da una cerimonia così santa. Le cose cominciarono ad imbrogliarsi; le ostilità dichiararonsi. Una nuova formola di giuramento dettata dalla camerilla o dalla camera dei pari, fu mandata all'assemblea; ma, come quella del governo, non facendosi in essa affatto parola della facoltà di rivedere e sanzionare lo Statuto devoluta ai rappresentanti, essi s'indignarono unanimamente e la formola fu respinta come oltraggiosa ed illegale. L'eccellente Pica, per conciliare le parti, ne accozzò un'altra in cui del diritto anzidetto facevasi motto. Mandata a corte, a sua volta, dal re e dai pari fu rigettata. Il ministro Conforti, che i progetti sinistri del Borbone aveva compresi, recossi allora alla Camera e con parole nobilissime la supplicò di passar oltre ad una quistione di forma, e di rivolgere invece il suo patriottismo sul gran fatto dell'indipendenza d'Italia che allora agitavasi, e che doveva dominare nell'atmosfera di tutte le nostre deliberazioni, come voleva lo spirito e l'essenza della situazione. Indi senza circonlocuzioni accusò i rei disegni del re.
| |
Statuto Statuto Pica Conforti Borbone Camera Italia
|