A tali assicurazioni una parte di quel popolo cesse e si disperse: ma un'altra, non avendo fiducia in quelle parole officiali, persistette ad andare innanzi, e silenziosamente e dignitosa si accolse sotto i balconi del Parlamento. Quand'ecco la voce si sparge, una grossa colonna di svizzeri da un punto della città, ed uno o più squadroni di cavalleria dall'altro percorrere le strade ed obbligare la folla a ritirarsi. Un grido universale allora si udì: da dentro l'assemblea: siamo traditi! da fuori: viva la camera! coraggio! coraggio! Il comandante della guardia nazionale caldamente impegnato di far battere la generale, si oppose. Parlò di complicazioni inevitabili che sarebbero sorte, di guerra civile, di temperanza; ma le sue idee non avevano più nesso alcuno. Costabile Carducci, colonnello della guardia nazionale della provincia di Salerno, propose a sua volta di farla venire: ma i moderati respinsero la proposizione, non volendo propagare l'allarme e spingere le cose all'estremo. Invece si mandò una commissione al re perché facesse rientrare la soldatesca. Il principe Pignatelli Strongoli, delegato dalla Camera dei pari, venne contemporaneamente a presentare un'altra formola di giuramento, da quella Camera adottata già. Ma neppur essa accennando l'articolo del programma del 5 aprile, che si voleva ad ogni costo sconoscere, si ributtò, e si conchiuse che o non sarebbesi giurato affatto, o sarebbesi giurato giusta i sensi espressi dal Pica. Lo Strongoli apportava quest'ultimatum ai pari, una commissione al re perché avesse scelto.
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