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      Gli uomini che agivano nelle tenebre non, avrebbero ceduto che alla forza; ma alcuni capi della guardia nazionale, sia che avessero paura, sia che fossero complici, non la vollero adoperare.
      I deputati, uscendo dall'assemblea ai primi albòri del nuovo dì, passando sulle barricate, avean pregato, anzi avevano imposto di disfarle. Si promise: ma quando, cinque ore più tardi, essi tornavano al loro posto, ebbero a ripassare sugli stessi altari della guerra civile. Chi era dunque che contro il volere della rappresentanza nazionale, contro l'opinione di tutti i cittadini inesorabilmente si ostinava a tener testa? Il mistero ha cominciato a far travedere alcune delle sue brutture, ma in tutto il sozzo della sua tristizia non si è ancor rivelato. Questo è certo, che i liberali, i radicali sopra tutto, vi furono stranieri o si dichiararono incompetenti. Essi non volevano punto di quella commedia. Essi sapevano che il giorno che dovea distruggere il principato e cacciar via la famiglia Borbone non poteva esser altro se non l'indomani di quello, in cui un italiano, dalla cima delle Alpi, avrebbe riguardate le pianure del Veneto e del Lombardo ed avrebbe detto: quella è Italia! Le barricate furono concepite forse dal Filangieri, nei saturnali della corte, quando la fermezza della Camera rese impossibile o troppo pericoloso il giuramento, dalla corte furono pagate e fatte drizzare. Nell'aulico consiglio di un re, che si confessa e si comunica tutte le mattine, erasi risoluto distruggere di un colpo solo quanto il paese aveva di più libero e di più eminente.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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