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      I comandanti dei castelli aprirono i plichi e vi trovarono gli ordini di bombardare la città. Castelnuovo obbedì: Castel Sant'Eramo tirò tre colpi in aria ed ebbe rimorso di proseguire. Il general Roberti, che vi comandava, fu di poi destituito. La città così fulminata, i cittadini così sorpresi da un attacco senza ragione e senza misura, rimasero stupefatti ed atterriti. Non si erano preparati, non avevano neppur sospettato una perfidia tanto forsennata. Essi avevano impegnata una lotta legale, e legalmente per mezzo del Parlamento ne aspettavano la soluzione. Cacciarvi in mezzo il cannone era una viltà degna sola di Ferdinando Borbone. Non pertanto quella piccola coorte di cittadini che aveva assunto, diciam così, il mandato di rispondere all'infame provocazione, generosamente si condusse. Essi mostrarono di che tempra fossero i liberali, e qual sorte sarebbe toccata alla masnada di corte ed ai suoi scherani se la battaglia fosse stata denunziata a tempo, preveduta almeno, e combattuta ad armi eguali. Finché i cittadini ebbero polvere e piombo, i soldati non osarono avvicinarsi e lavorarono di cannone. Quando le munizioni furono esaurite, quando il fuoco ebbe cessato dalla parte dei nostri, allora la guardia reale, gli svizzeri, e i reggimenti della marina svilupparono la loro bravura. Con le artiglierie sfondarono i portoni ed aprirono le barricate, cui un solo uomo non guardava più: si slanciarono come belve nelle case, dove non trovavano che donne e fanciulli. Ma che importava?


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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