Queste dichiarazioni non han bisogno di comento. Baudin era legittimista: aveva subìta la repubblica, anzi l'aveva trovata un delitto: non conosceva diritti di popolo: ogni rivoluzione era una ribellione. Ben altrimenti comportossi ilministro di Francia, e se nulla potette ottenere non fu certo colpa di lui. Il signor Levraud era vero repubblicano, ed aveva addimostrato mai sempre colle più vive simpatie caldeggiare la causa di Italia. Nel cominciar dell'attacco egli si recò immediatamente dall'ammiraglio, e dimandò che senza por tempo in mezzo un corpo di soldati francesi fosse spedito a terra per difendere le sostanze e la vita dei proprii concittadini; e che entrambi personalmente si recassero a corte per significare al re di far cessare l'eccidio. Baudin si negò allo sbarco dell'equipaggio, sapendo bene che questa manifestazione in favore bastava perché la causa del popolo fosse salva e il re arrestato nel meglio della sua festa scellerata. Tornato vano questo tentativo, Levraud dimandò che l'ammiraglio segnasse una nota da lui redatta al governo napolitano. Baudin la trovò troppo fiera, troppo ardita, per essere presentata ad un re. Levraud la modificò, ma anche invano: si abbassò perfino a segnare la pallida e modesta preghiera formulata dall'ammiraglio; ma questa stessa, che avrebbe forse incitato gli altri diplomatici stranieri ad operare altrettanto, e riscossa la iena reale, questa stessa neppure fu inviata o inviata quando tutto era finito. Le nobili intenzioni del ministro della repubblica non furono secondate, e non pertanto oggi le sconta nell'esilio.
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